Bushcraft: una spiegazione, la nostra filosofia
Bushcraft: un termine enormemente ricco di significati, il cui utilizzo è sempre più frequente e i cui contorni, proprio per questo, diventano sempre più indistinti.
Cosa significa, esattamente, questa parola composta? Beh, se siete approdati a quest’appendice, probabilmente, un’idea ve la sei già fatti; e, altrettanto probabilmente, sarete d’accordo con noi nell’affermare che una risposta univoca a questa domanda non esista. Ma proviamo, ugualmente, ad esporre la nostra.
Partiamo da una veloce analisi semantica del termine: bush significa “bosco” e craft “fare”, inteso come “costruire, realizzare manualmente”. Va da sé che il significato, ridotto ai minimi termini, rimanda al “fare qualcosa in mezzo ad un bosco”, un’espressione che può richiamare alla mente di ciascuno di noi diverse figure, più o meno archetipiche: un pioniere della frontiera del West, un uomo primitivo, il protagonista di qualche reality in TV oppure ancora un fotografo un po’ hipster e via discorrendo. Tuttavia, due elementi accomuneranno sempre queste figure: la cornice boschiva, entro cui esse si muovono, e la necessità di arrangiarsi solamente con ciò che riusciranno a trasportare sulle proprie spalle.
Se state leggendo queste righe, difficilmente vivete di sussistenza in un’area remota, ma, probabilmente, vi starete avvicinando alla vita boschiva nel tempo libero. Ebbene, oggi, il bushcraft riassume in sé l’antitesi concettuale della moderna vita inurbata. È una risposta, uguale e contraria, a tutto ciò che comporta vivere in un contesto mediamente antropizzato: la ricerca e la riscoperta di una dimensione nuova, eppure dal sapore primordiale, nella della quale ritrovare noi stessi, il proprio tempo ed una lentezza ai più preclusa; nonché l’ineguagliabile soddisfazione che può derivare soltanto dal realizzare qualcosa con le proprie mani. Trascorriamo la maggior parte della nostra esistenza nel fruire di cose che acquistiamo, fatte da qualcun altro, che quasi mai sappiamo chi sia, in una normalità tanto comoda quanto distante e spersonalizzante. In un bosco, al contrario, non possiamo comprare nulla; ci siamo solo noi, i nostri pochi attrezzi, la nostra abilità nello sfruttarli al meglio ed una vastità verde, di cui non possiamo ignorare l’ancestrale richiamo, in una continua lezione di vita.
Sulla scorta del motto del grandissimo M. Kochamsky «the more you know, the less you carry», i nostri laboratori si prefiggono di rendere più leggero possibile il bagaglio che ci sta sulle spalle, aumentando, invece, lo spessore di quello che ci portiamo dentro. Ci poniamo, inoltre, l’obiettivo di rendere il contatto con la Natura più scevro possibile da sovrastrutture, depurandolo dai comfort del vivere contemporaneo, imparando a considerare la Natura stessa il nostro più prezioso e generoso benefattore.
A tal proposito, è doveroso ricordare il celeberrimo G. W. Sears (alias Nessmuk), padre del moderno approccio agli ambienti selvatici, il quale ha reso perfettamente il concetto affermando: «non camminiamo per boschi e acque limpide per stare comodi, ma per sentirci bene». Quindi, per sentirci a nostro agio in un bosco, non occorre trasportare parti della propria casa in esso, ma diventare capaci di rendere un angolo di bosco, per qualche giorno, la nostra casa. Ciò che realmente conta è una attenta e profonda conoscenza dell’ambiente circostante, la capacità di valutare quali risorse ci offre, la qualità della nostra attrezzatura e l’abilità nello sfruttarla al meglio, in un’unica parola: noi stessi!
Abbandonare la propria zona di comfort per spingersi, zaino in spalla, verso un ambiente che può apparire ignoto, se non addirittura pauroso e ricco di potenziali pericoli, sarà, inizialmente, un atto di coraggio e richiederà indiscutibilmente una buona dose di determinazione. Tuttavia, man mano che ci si addentrerà tra le chiome fronzute e i profumi del sottobosco ci colmeranno le narici, il timore lascerà spazio all’entusiasmo per l’esperienza che ci accingiamo a vivere, allontanando, almeno per un po’, tutto ciò che quotidianamente ci stressa, ritrovando, così, la parte più primitiva e genuina di noi stessi.